L’Europa si era già interessata alla “disattivazione” con la Convenzione adottata a Strasburgo il 28 giugno 1978, escludendo dalla definizione di arma da fuoco “ogni oggetto definitivamente reso inadatto all’uso”.
Con l’accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, erano state considerate simulacri “le armi da fuoco rese inservibili per sparare munizioni di qualunque tipo in seguito a procedimenti tecnici garantiti dal punzone di un organismo ufficiale o da esso riconosciuti”.
Inoltre, la direttiva 91/477/CEE, del 18 giugno 1991, aveva escluso dalle armi da fuoco “gli oggetti resi definitivamente inservibili mediante l’applicazione di procedimenti tecnici garantiti da un organismo ufficiale o riconosciuti da tale organismo”.
Anche la direttiva 2008/51/CE, del 21 maggio 2008, aveva rilevato che per la “disattivazione delle armi da fuoco la direttiva 91/477/CEE effettua un semplice rinvio alle legislazioni nazionali” e, quindi, doveva essere adeguata con l’elencazione di regole generali, tenuto conto che il Protocollo contro la fabbricazione e il traffico illeciti delle armi da fuoco, del 31 maggio 2001, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata, “enuncia principi generali di disattivazione delle armi più espliciti”.
Pertanto, con la direttiva 2008/51/CE è stata riformulata ed integrata la nozione di arma “disattivata” prevista dalla direttiva 91/477/CEE, così da non considerare più armi da fuoco quelle che “siano state rese definitivamente inutilizzabili mediante una disattivazione tale da rendere tutte le parti essenziali dell’arma da fuoco definitivamente inservibili e impossibili da asportare, sostituire o modificare ai fini di un’eventuale riattivazione…. gli Stati membri adottano disposizioni che prevedono la verifica, da parte di un’autorità competente, delle misure di disattivazione… gli Stati membri prevedono il rilascio di un certificato o di un documento attestante la disattivazione dell’arma da fuoco o l’applicazione a tal fine sull’arma di una marcatura ben visibile”.
Con la legge n. 88 del 7 luglio 2009 il Governo è stato delegato per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE, anche per la “disattivazione” delle armi da fuoco “individuando le modalità per assicurarne il più efficace controllo”.Quindi, con il D.L.vo n. 204 del 26 ottobre 2010, è stato inserito l’articolo 13bis nella legge 110 del 1975 per regolamentare “la immissione sul mercato delle armi provenienti da scorte governative”, stabilendo che le armi delle Forze armate e di polizia, dichiarate fuori uso, possono essere immesse sul mercato civile “a condizione che siano demilitarizzate”.
Con lo stesso articolo sono state disciplinate con legge, per la prima volta le attività di “demilitarizzazione”, consistente nella “trasformazione di un’arma da guerra o tipo guerra in un’arma comune da sparo” e di “disattivazione”, cioè “una operazione tecnica mediante la quale un’arma portatile viene resa inerte e portata allo stato di mero simulacro anche nelle sue parti essenziali, in modo permanente e irreversibile”.
Sia l’attività di “demilitarizzazione” che quella di “disattivazione” devono essere effettuate “secondo le modalità definite con decreto del Ministro dell’Interno”, decreto che, a distanza di più di quattro anni, non è stato ancora emanato.
Pur in mancanza di esplicita normativa, le due attività in argomento sono state regolamentate con diverse circolari.
Con la prima del 21 aprile 1977, emanata a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 110/1975, venne esaminata “la perplessità di carattere terminologico” e fu equiparato il termine “demilitarizzazione” a quello di “disattivazione”, stabilendo che ambedue le attività, sebbene con diversa terminologia, dovevano essere finalizzate allo stesso risultato, cioè a ridurre un’arma da fuoco “inidonea in modo permanente ed irreversibile ad essere impiegata come tale a norma dell’art. 585, comma secondo, n.1, C.P.”.
Tale sovrapposizione dei due termini portava alla conclusione che, a seguito di particolari operazioni elencate nella stessa circolare, anche “un’arma portatile da guerra o tipo guerra può essere considerata demilitarizzata cioè disattivata in modo permanente e irreversibile quando su di essa vengono eseguite a regola d’arte e tutte insieme le seguenti operazioni….Le armi sottoposte ai procedimenti cui innanzi, in quanto prive di destinazione naturale dell’offesa alla persona, non sono più tali, ma soltanto simulacri o armi da decorazione. Tali oggetti, conseguentemente, rimangono affrancati dalla disciplina vigente in materia di armi”.
Con la seconda circolare dell’11 luglio 1994, i due termini “demilitarizzazione” e “disattivazione” vennero separati, riconoscendo al primo il significato di attività di “trasformazione di un’arma da guerra o tipo guerra in arma comune da sparo” e al secondo quello di rendere “un’arma da guerra o comune disattivata in modo permanente e irreversibile, al punto da diventare un simulacro”, con l’esecuzione dei rispettivi interventi tecnici elencati nella stessa circolare.
Con la terza circolare del 21 luglio 1995, furono dettate ulteriori disposizioni burocratiche e tecniche in merito alle due distinte attività, confermando lo stesso distinto significato terminologico attribuito nella precedente circolare e richiamando l’obbligo della prova del Banco nazionale per le armi “demilitarizzate”, come previsto dalla legge n. 186 del 23 febbraio 1960 (art. 1).
La quarta ed ultima circolare è stata emessa il 20 settembre 2002, con la quale sono state previste nuove procedure burocratiche ed ampliati gli interventi tecnici relativi alle due attività. Tale circolare, in attesa del decreto del Ministro dell’Interno, è ancor oggi vigente, anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 204/2010, per esplicita conferma stabilita nella circolare esplicativa di quest’ultimo del 24 giugno 2011.
La necessità di intervenire ulteriormente ed in modo più restrittivo da parte dell’Europa sulle modalità burocratiche e sugli interventi tecnici per la “disattivazione” delle armi da fuoco sembra sia stata accelerata dagli attentati terroristici di Parigi, per alcuni dei quali sarebbero state impiegate anche armi acquistate come “disattivate” e rese nuovamente efficienti.
Con il Regolamento UE del 2015, che “si applica a decorrere dall’8 aprile 2016, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”, sono stati stabiliti “orientamenti comuni sulle norme e sulle tecniche di disattivazione” finalizzati ad uniformare le procedure per meglio “garantire che le armi da fuoco disattivate siano rese irreversibilmente inutilizzabili”, nonché il loro riconoscimento e la loro tracciabilità, pur lasciando spazio ai singoli Stati di adottare “ulteriori misure sulla disattivazione, che vanno oltre le specifiche tecniche” del Regolamento.
Oltre le dettagliate operazioni tecniche specificate negli allegati, le novità più importanti relative alla procedura burocratica riguardano la “verifica” e la “certificazione” della “disattivazione”.
Infatti, per la verifica “gli Stati membri designano un’autorità competente per verificare che la disattivazione dell’arma da fuoco sia stata effettuata conformemente alle tecniche” stabilite nello stesso Regolamento. “L’organismo di verifica della conformità della disattivazione è incaricato anche di contrassegnare con un marchio unico comune” le armi disattivate, apponendolo su “tutti i componenti modificati”, con modalità tali da essere “chiaramente visibile e riconoscibile”, nel rispetto dei requisiti stabiliti nell’allegato II.
In merito, il Nostro Paese dovrà adeguarsi a tali disposizioni, siccome, nella vigente circolare del 2002, manca l’individuazione e designazione di un “organismo” che verifichi la conformità della “disattivazione” e apponga il marchio, attività alle quali potrebbe essere preposto il Banco nazionale di prova delle armi portatili.
Relativamente alla seconda novità, cioè alla “certificazione”, il Regolamento UE prevede che venga rilasciata dallo stesso “organismo di verifica” (per la circolare del 2002 la certificazione viene rilasciata dagli stessi soggetti autorizzati ad effettuare la demilitarizzazione o la disattivazione), certificato che il possessore dell’arma deve conservare “per sempre”. L’arma disattivata “immessa sul mercato deve essere accompagnata dal certificato di disattivazione”.
Anche per il trasferimento delle armi disattivate all’interno dell’Unione è stabilito che possa avvenire solo “a condizione che rechino il marchio unico comune e siano accompagnate da certificato di disattivazione”.
Relativamente alle nuove disposizioni burocratiche, il Regolamento UE sembra non determinare particolari difficoltà applicative, siccome la vigente circolare del 2002 regola in dettaglio la materia, peraltro con disposizioni già alquanto restrittive. Invece, perplessità suscitano, in particolare, le disposizioni con le quali vengono elencati gli interventi tecnici per la “disattivazione” delle armi antiche, peraltro non classificate come armi da fuoco dalla stessa direttiva di riferimento 91/477/CEE. Infatti, per le “armi da fuoco ad avancarica” il Regolamento UE stabilisce interventi tecnici che vanno ad incidere sul valore storico dell’arma, non compatibili con la vigente normativa sulla tutela del patrimonio storico/artistico del Nostro Paese ( D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 42 e L. 7 marzo 2001, n. 78), per cui difficilmente tali operazioni sulle armi antiche potranno essere autorizzati dalle Soprintendenze.
Dunque, il Ministero dell’Interno dovrà attivarsi per emanare il decreto regolamentare, già previsto dal decreto legislativo n. 204/2010, che recepisca le novità burocratiche e tecniche introdotte dal Regolamento UE.
Comunque, questa volta, il Ministero dovrà provvedere nel termine perentorio dell’8 aprile 2016, essendo state stabilite le nuove regole per la “disattivazione” con regolamento e non con direttiva.
Da tale data “è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile”, indipendentemente dall’emanazione di normativa di adeguamento da parte dei singoli Stati membri.
[01/02/2016]
Fonte: http://www.earmi.it/